L’universo, quello sconosciuto custode dei più fitti misteri della vita, dove tutto è immenso, dove il tempo e lo spazio assumono significati diversi rispetto a quelli che siamo soliti attribuirgli. Una sconfinata distesa di luci su sfondo nero, che da anni gli scienziati scrutano per trovare le risposte giuste al più grande quesito: l’origine della vita.
È proprio questo l’obiettivo della missione “Rosetta”, iniziata con il lancio del vettore Ariane 5 il 2 marzo 2004; un viaggio durato dieci anni, durante il quale è stata percorsa una distanza di cinque volte superiore quella che intercorre fra la Terra ed il sole, avvicinandosi ad importanti cinture di asteroidi e superandole indenne; un’avventura conclusasi, nella sua prima parte, con l’atterraggio sulla cometa 67P/Churyumov-Gerasimenko, scoperta nel 1969 da questi due scienziati russi.
Rosetta come omaggio all’omonima stele ritrovata a Rashid nel 1799 da Napoleone durante la sua campagna in Egitto, che ha permesso di decifrare i geroglifici egizi e di spiegare la misteriosa cultura dei faraoni. È il mistero e la voglia di scoperta che accomunano queste due rosette: la stele ha riscritto la storia, la sonda potrebbe riscrivere la scienza.
Le comete sono degli enormi agglomerati di ghiaccio, roccia e altre sostanze, che sulla Terra troviamo sotto forma di gas, come il monossido di carbonio o l’anidride carbonica, formatesi circa 4600 milioni di anni fa, in concomitanza con la formazione dei pianeti, in quanto sono proprio dei resti degli stessi. All’interno delle comete si trovano delle molecole organiche chiamate “building blocks” in cui gli scienziati credono risieda il “segreto della vita”. Così l’ESA decise di far partire questa missione per far luce, nel buio dell’universo, su questi fenomeni, attraverso la sonda Rosetta, costruita da 14 Paesi europei e con la collaborazione degli Stati Uniti. Ognuno ha dato il suo contributo, con un gigantesco lavoro di squadra, in cui le differenze culturali e religiose non esistono, tutti sono votati ad un unico obiettivo e tutti lo perseguono con la medesima tenacia, consapevoli che la riuscita del progetto si trasformerebbe in una vittoria per tutti. Un grande esempio di collaborazione europea da utilizzare come modello, magari, anche in altri ambiti.
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Ci piace, inoltre, ricordare l’importante contributo italiano: dall’Alenia, per quanto riguarda la creazione e l’assemblaggio delle componenti principali della sonda, altro non è che una scatola di alluminio, alta quasi 3 metri e larga 2, ricoperta di pannelli solari; dall’Università degli Studi di Napoli “Parthenope” che ha creato, con la supervisione di Alessandra Rotundi, “Giada”, un apparecchio per l’analisi delle polveri provenienti dal nucleo della cometa e da altre direzioni; l’Istituto di Astrofisica e Planetologia Spaziali di Roma che ha prodotto “Virtis”, uno spettrometro utile per analizzare la superficie del nucleo della cometa e trovare il miglior punto d’attracco, a cura di Fabrizio Capaccioni; infine il Politecnico di Milano che, grazie ad Amalia Ercoli-Finzi, ha creato uno degli strumenti più importanti, ovvero l’SD2 che è il trapano grazie al quale si preleveranno campioni direttamente dal nucleo della cometa.
I primi giorni di Rosetta sulla cometa si sono conclusi, l’atterraggio non è stato dei più semplici, tant’è che la sonda è atterrata due volte, poiché al primo tentativo non si è riuscita ad ancorare ed è rimbalzata, per colpa della bassissima gravità. Con difficoltà sono stati attivati i pannelli solari che le danno energia necessaria per scavare, analizzare, fotografare, insomma svolgere tutte le funzioni per le quali è stata creata.
Stefano Gattordo