Il “Cluster del cacao” è in buono stato d’avanzamento, per quanto riguarda la sua costruzione. Questo spazio è stato creato per attirare l’attenzione sulla produzione del cacao, praticata soprattutto da piccoli produttori, spesso nemmeno proprietari della terra che lavorano, che hanno una produzione decisamente inferiore rispetto alle proprie possibilità; situazione innescata, per la maggior parte, dalla scarsa regolamentazione, presente in molti paesi del mondo, e dalla concorrenza sleale delle grandi multinazionali; basti pensare che spesso sono queste aziende a fare il prezzo delle merci che acquistano, a discapito dei produttori che vendono ad un prezzo troppo basso per permettergli di mantenere un livello di sostentamento.
Ha così trovato spazio, all’interno dell’Expo, l’organizzazione internazionale “Fairtrade” (commercio solidale), che si pone l’obiettivo di aiutare a crescere i produttori dei paesi meno sviluppati, dove i problemi sono innumerevoli e i contatti con il commercio internazionale inesistenti; grazie alla propria esperienza e presenza sul mercato, “Fairtrade” riesce a vendere i prodotti di questi agricoltori nel mercato mondiale, attraverso il proprio marchio.
Questo è possibile grazie ad una forte presenza sul territorio, in quanto i responsabili dei progetti di sviluppo sono a lavorare nel paese interessato, collaborando direttamente e giornalmente con gli agricoltori locali, creando una rete organizzata di produzione con lavoratori associati e promuovendo leggi nazionali a tutela di questa categoria di lavoratori. Inoltre tutti i guadagni ricavati dalla vendita dei prodotti vengono reinvestiti nel lavoro di queste persone e le decisioni vengono prese in maniera democratica; tutti i diretti interessati assieme ai membri dell’associazione votano a maggioranza il modo migliore per investire questi fondi extra.
Il caso che ci interessa ricordare è quello di Marike De Peña, presidente di Fairtrade International, che è stata eletta ambasciatrice di We-Women per l’Expo 2015. Marike da trent’anni si trova in Republica Dominicana grazie al progetto di Fairtrade “Banelino”, iniziato nel 1986 da una collaborazione con i contadini dominicani coinvolti dalla riforma agraria, avviata dopo la caduta del regime di Trujillo. Questo progetto si poneva l’obiettivo di aiutare i produttori di banane di questo paese, poiché i contadini, dice la De Peña, “erano considerati tra i più poveri al mondo, e non esistevano leggi sul credito e sulla terra per tutelare loro e le loro famiglie”.
Il suo lavoro iniziò con l’obiettivo di fornire assistenza tecnica, di dare una formazione commerciale ai contadini del luogo, e competenze amministrative; tutto questo deciso attraverso pratiche democratiche e partecipative. Il progetto si è sviluppato, dando ottimi risultati, ed è ancora oggi attivo, coinvolgendo “310 produttori nella regione settentrionale della Republica Domenicana, il 26 per cento dei quali sono donne. Gestiscono ognuno 3-4 ettari di terra circa. Il 97% della nostra produzione è biologica ed esportiamo ogni settimana circa 25 mila box in Europa (pari a 18.14 kg)”.
Una produzione che rispetta la terra e i suoi frutti, fatta da persone semplici, lontane dal quel mondo speculativo e aggressivo, in aumento grazie alla globalizzazione economica, che taglia le gambe a questi piccoli agricoltori. Persone che quando raggiungono un traguardo, come un primo container venduto con “Fairtrade”, si ritrova a festeggiare con “qualche bottiglia di rhum da quattro soldi sotto una pianta di mango”. Un commercio equo e solidale che rispetti la terra, i suoi frutti e chi la lavora, che vada incontro alle esigenze delle persone e non dell’economia; a questo aspira “Fairtrade” ed è questa la direzione che l’Expo s’impone di intraprendere.
Stefano Gattordo