Più di mille vittime in dieci anni e già numerosi “incidenti” nella stagione venatoria iniziata da poco. I dati relativi alla caccia in Italia (diffusi anche dall’associazione “Vittime della caccia”), dove si spara quattro mesi l’anno cinque giorni su sette, descrivono una situazione di vero allarme per la pubblica incolumità. E pur trattandosi di stime approssimate per difetto, sono tali da far pensare non ad eventi casuali, dovuti cioè a circostanze eccezionali e impreviste, ma, come Enpa sottolinea da tempo, a fenomeni ampiamente prevedibili e, quindi, evitabili. Per questo, l’associazione ha chiesto al ministro dell’Interno, Marco Minniti, di stringere i controlli sulle “doppiette” – giovani e meno giovani – e di prevedere un certificato obbligatorio annuale di idoneità medica.
Nell’ultimo decennio la categoria dei cacciatori ha vissuto una vera emorragia – il numero delle “doppiette” si è più che dimezzato – e risulta oggi composta in prevalenza da persone sempre più in là con gli anni, dunque in una condizione psico-fisica non più ottimale. Non c’è da stupirsi se le cronache dei nostri giornali ci raccontano di morti spesso dovute a malori, a spari accidentali, a errori di tiro, ad abbagli che fanno scambiare una persona per un animale. Pertanto è un vero paradosso che, a fronte di una popolazione venatoria sempre più vecchia, i controlli medico-attitudinali siano sempre più radi: una volta ogni sei anni, vale a dire in occasione del rinnovo del tesserino venatorio. Poi più nulla per altri sei. E il problema
E in tale scenario non manca una situazione ancora più paradossale. «Oggi – spiega l’Enpa – chi vuole detenere un’arma non è necessariamente costretto a ottenere il porto d’armi per difesa personale, il cui rilascio prevede una procedura complessa e rigorosa con controlli annuali sul detentore; può invece chiedere quello per il tiro a volo o venatorio. Quindi, molte persone sono in possesso della licenza di armi con il pretesto della caccia al solo scopo di detenere legalmente un fucile».
Come dimostra l’esperienza dei Paesi dove il possesso di fucili e pistole è meno regolamentato, la massiccia circolazione di armi ha determinato un senso di insicurezza collettiva che, a sua volta, ha avuto profonde ripercussioni sulla pubblica incolumità. «Questo rende ancora più inaccettabile il fatto che, in un contesto come il nostro, una l’attività puramente “ludica” come quella venatoria possa rappresentare una scorciatoia per bypassare normative più rigorose. Un Paese più armato – conclude Enpa – è un Paese meno sicuro: lo dimostrano le numerose persone che perdono la vita o restano ferite nei numerosi “incidenti”».